GIANCARLO SIANI, UN CRONISTA PER LA VERITÀ DIMENTICATO?

giancarlo siani-2di Francesco Castaldi

Giancarlo Siani aveva 26 anni e la voglia di raccontare, senza filtri, le tante brutture che avvelenavano – e che tuttora continuano ad avvelenare – la sua terra. La camorra decise di tappargli per sempre la bocca la sera del 23 settembre 1985, sotto casa sua, al Vomero. Una morte che, nonostante la condanna all’ergastolo degli esecutori materiali e dei mandanti, grida ancora vendetta. Da quella sera di fine settembre sono trascorsi trenta lunghi anni, e la mia personale opinione è che in molti si siano dimenticati di Giancarlo, dai più considerato un ‘martire per la verità’. Non è mia intenzione sminuire la figura di un ragazzo che, pur di mostrare le cicatrici mai sanate di un territorio alla mercé della malavita organizzata, ha sacrificato la propria vita.

Credo tuttavia che una corona di fiori e i discorsi colmi di demagogia che si sentono in questi giorni servano a ben poco. Due anni fa, in occasione del 28° anniversario della morte di Giancarlo Siani, mi trovavo nella redazione de ‘Il Mattino’, dove era stata esposta la Méhari sulla quale venne ucciso. Rimasi inorridito dal fatto che alcuni visitatori, senza rispetto, si fecero immortalare sorridenti vicino alla vettura, neanche si trattasse di una Ferrari. Non da meno è tuttavia il comportamento di alcuni colleghi che, al pari dei non addetti ai lavori, dimostrano nei fatti di aver dimenticato Giancarlo. Chi conobbe il giovane cronista napoletano racconta che Siani era molto scrupoloso nel proprio lavoro, e che prima di scrivere e pubblicare una notizia verificava le sue fonti in maniera ossessiva.

Questa dedizione, mi duole ammetterlo, è oggi merce sempre più rara, dal momento che le notizie vengono spesso distorte, e ciò perché il più delle volte il giornalista decide di spogliarsi  del suo ruolo di osservatore super partes. Se penso che Giancarlo è morto anche per non essersi sottomesso al potere politico, sono avvinto da una rabbia incontenibile. La superficialità è la cifra stilistica di coloro che – trovandosi in un settore editoriale sempre più competitivo e veloce – preferiscono farsi la guerra piuttosto che impegnarsi a fornire al lettore un tipo di informazione trasparente e avulsa da interessi di parte. E anche all’interno della stampa locale non manca il ducetto di turno che contribuisce in maniera costante all’inesorabile decadentismo della professione giornalistica.

Prima di licenziare un pezzo sarebbe opportuno domandarsi quali conseguenze potrebbe avere ciò che abbiamo scritto; e invece, pur di fare lo scoop, ci si inventa le castronerie più assurde, senza pensare che l’inchiostro della penna può essere più pericoloso di un flacone contenente dell’acido. Ritengo che il miglior modo per ricordare Giancarlo sia quello di sforzarsi, nel quotidiano, di mettere in pratica gli insegnamenti che derivano dal suo silente ma graffiante lavoro. Se ognuno alzasse la voce dinanzi ai soprusi invece di chinare colpevolmente la testa, sono certo che il sacrificio di quel ragazzo che sognava di fare il giornalista non sarà stato vano.

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